Quello che mi ha colpito di più del libro “L’arte di essere fragile” di Alessandro D’Avenia, è quello che riporto nel titolo e cioè la capacità di invertire l’ottica che caratterizza la nostra cultura. Al bisogno di dimostrare la propria forza, perfezione e invincibilità lui contrappone, portando come riferimento Leopardi come uomo e letterato, quella che definisce “l’arte di essere fragile”. Sottolineando che “l’arte da imparare in questa vita non è quella di essere invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti”. Solo accettando i propri limiti, fragilità e rendendoli risorsa si può avere una vita piena. Solo ascoltando se stessi fino infondo possiamo essere in ascolto degli altri, del mondo che ci circonda e delle occasioni che ci si presentano. La fretta onnipresente nella vita di ogni giorno non ci dà la possibilità di fare emergere ed imparare a conoscere le tante sfaccettature che ci costituiscono e di coltivare i desideri. “È il desiderio ad attivare l’immaginazione, che chiama a raccolta pensiero e cuore, ma nel contesto attuale il desiderio, subito soddisfatto” o inascoltato perché sommerso dalle tante cose da fare, “viene ridotto a bisogno sempre consumabile. Il tutto e subito” e la fretta disabituano “alla ricerca lunga e paziente dell’infinito”, cioè della parte più profonda di ognuno e del senso della vita, del significato che può dare la direzione ai nostri giorni e che ci sostiene soprattutto nei momenti bui. Spesso invece ci sentiamo costretti ad infilare una maschera che ci fa sentire al sicuro dai giudizi e in grado di soddisfare le aspettative altrui e nostre. Così non possiamo guardare e dare voce alle nostre fragilità, alla nostra “ombra” come la definisce C. G. Jung, che tanto ci spaventa tanto è ricchezza e spinta creativa. È quella che permette ad ogni esistenza di essere unica e irripetibile nella sua originalità. Come dice D’Avenia: “la vita assomiglia a una spirale, il centro rimane nella stessa posizione e i minuti gli si arrotolano attorno, ora più vicini ora più lontani, in base alla fedeltà alla propria originalità”. Allora occorre ricercare le energie che ci diano il coraggio per affrontare il percorso di conoscenza di noi stessi, ricercare le domande giuste da porre a noi e agli altri così che possano diventare nostri compagni di viaggio. Affrontare il buoi delle nostre ombre e dei nostri giorni bui perché “il buoi della notte serve per vedere le cose che la luce nasconde. E magari è l’essenziale”.
Dott.ssa Cecilia Rizzi
Cit. da “L’arte di essere fragile” di Alessandro D’Avenia